IL MIO NOME È VINCENT
di Aeris-Rinoa


PRIMA DI LEGGERE: voglio chiedere scusa a tutti i lettori che troveranno inesattezze nel mio racconto, poiché è tutto basato su congetture e narrazione. Inoltre ho finito da molto FFVII e temo la mia memoria abbia perso qualche colpo. Comunque, a me piace pensare sia andata così, e non credo di poter cambiare facilmente idea. ^^

Yelena fece il suo tiro, e la palla numero 8 andò dritta in buca d'angolo.
-Ti odio- le disse Michael dall'angolo opposto del tavolo da biliardo
-Grazie caro- fu la sarcastica risposta
-Sembrate dei bambini- disse Vincent, tenendo in mano la sua asta da biliardo, poco convinto
-Senti chi parla- disse Rojo -Tu sembri un quindicenne da dieci anni-
Vincent lo guardò alzando un sopracciglio.
-Yelena, che nome volete dare alla bambina?- chiese Mei
-Mah, Michael la vuole chiamare Elena. Dice che mi somiglia tanto che anche il nome deve essere simile- si volse -Tu e le tue stranezze!- proseguì poi rivolta a Michael
Lui si mise a ridere: -Sarà per questo che mi ami-
Vincent si lasciò sfuggire un sorriso in mezzo alle risatine generali.
-Ma voi Turks non dormite mai? Avete visto che ore sono?- chiese loro scherzosamente il gestore del bar
-Dovresti essere contento, Earl- rispose Rojo -Se non dormiamo beviamo caffè e birra qui da te- sorrise beffardo
-Sì, sì- bofonchiò Earl rimettendosi al lavoro
-Andiamo Vincent, divertiti!- disse Yelena -In fin dei conti è la nostra serata libe...- venne interrotta dal trillo del cellulare di Vincent, che era il caposquadra
-Dicevi?- disse crudelmente ironico Michael
Vincent rispose al telefono.
-Qui Valentine. Mi dica, signore-
-L'abbiamo trovata. E' l'ultima, ma è una donna, non dovreste avere problemi. Andatela a prendere: in questo momento è nei sobborghi, ha usato i suoi poteri per rifugiarsi tra la vegetazione, e i deepground l'hanno persa. Dovete prenderla-
-Sarà fatto, signore-
-Ah, Vincent-
-Sì, signore?-
-Dopo prenditi pure una vacanza-
-Signore, con tutto il rispetto non credo...-
-Prendilo come un ordine-
-Sissisgnore- chiuse il telefono e lo rimise in tasca, poi si volse verso il gruppo in attesa -Il bersaglio è stato localizzato. Abbiamo l'ordine di catturarla e consegnarla al signor Hojo quanto prima-
-Vincent?- chiese Mei
-Sì?-
-Non ti ha detto di prenderti una vacanza?-
-No-

Correre, correre, correre. Non ce la faceva più a correre, e nemmeno a usare i suoi poteri per nascondersi. Non sapeva cosa fare, dove andare, e nemmeno sapeva dove si trovasse esattamente.
'Aeris, piccola mia...' i suoi pensieri andarono alla bimba appena nata che aveva affidato alla sua cara amica, e che con tutta probabilità non avrebbe mai più rivisto... Aveva il fiato corto, le sembrava che i polmoni le scoppiassero. Poi i soldati smisero di setacciare il bosco. Sentì atterrare un elicottero, dal quale scesero diverse persone vestite di scuro. Stette in ascolto ma non udì alcun rumore...fino a quel fruscìo, troppo tardi. Qualcuno la prese per il braccio con una stretta d'acciaio, e, nel voltarsi, si trovò davanti lo sguardo penetrante di un uomo dall'espressione austera e dai capelli scuri. Ma, stranamente, nel guardare in quegli occhi dallo strano tono nocciola, non provò l'istinto di scappare, ma rimase incantata a guardare. Attorno passi frenetici si muovevano, ma lei non vi badava. E, quando lui parlò, nel suo mondo non vi era altro che la sua voce.

Nonostante gli altri setacciassero in maniera frenetica il bosco, una volta ritirati i deepground fu lui a trovarla. Era accovacciata dietro un albero, in mezzo ai cespugli, e ascoltava, ma nonostante ciò non lo aveva sentito arrivare, e lui la prese prima che potesse reagire. Stava per chiamare gli altri, ma quando la guardò negli occhi si fermò: era bellissima, con i capelli castani come i rami freschi degli alberi, e gli occhi verdi come le foglie. E nonostante il vestito bianco fosse tutto strappato e sporco, era davvero affascinante. Lei lo guardava incantata allo stesso modo, e poi....la scintilla. Provò l'impulsivo e saldo istinto di aiutarla, e così le disse:
-Devo portarti via di qui- si accucciò e la prese in braccio, e si dileguò rapido tra gli alberi
-Perché lo fai?- chiese lei fingendosi maldestramente diffidente
Lui non le rispose. Continuò a correre fino a che furono fuori dalla città, e la portò vicino al mare, in una grotta nascosta.
Quando la mise a terra lei si alzò in peidi.
-Grazie- gli disse, e la voce di lei suonava come campanelli nelle sue orecchie -Io mi chiamo Lucrecia, e tu devi sapere benissimo chi sono, a giudicare da come mi hai tratta in salvo-
-Io sono...- esitò -Vincent. Non possiedi un cognome?- le chiese, non riconoscendosi nel proprio comportamento.
-No, sono nata tra gli ancients, e noi non abbiamo cognome. Ma mia figlia l'avrà...- si rabbuiò, accasciandosi di nuovo sulla sabbia
-Hai una figlia?- si chinò su di lei per consolarla
-Sì, l'ho nascosta perché non la trovassero, ma non ho avuto molto tempo...-
-Tu aspettami qui-
-Dove vai?-
-A salvare tua figlia-

'La bambina!' pensava ossessivamente mentre correva per i vicoli di Midgar 'La bambina!'
Aveva sentito che avevano localizzato una donna sospetta con una bambina, vicino alla stazione. Doveva arrivare prima degli altri! Corse fin lì, e si fermò davanti alla guardia piegato in due dall'affanno.
-Si...Signor Valentine?!-
-La....donna- cercò di ricomporsi -Sono venuto... a prendere in custodia la donna-
-Da solo?-
-Il resto della squadra sta ancora setacciando i boschi alla ricerca dell'obbiettivo-
-Capisco. Venga, l'accompagno-
Lo portò dalla donna, che aveva un'aria estremamente irritata, ma quando lo vide sbiancò per il terrore, e, stando attenta a non danneggiare la bambina, cercò di scappare, invano.
-Vieni qui- le disse la guardia -Sono venuti a prenderti-
-Nooooooo!- urlò la donna, ma ciononostante fu consegnata a Vincent, che, tenendola per un braccio, la portò fuori portata d'udito.
-Lasciami! Lasciami!- continuava ad urlare la donna
-Stai calma solo per un minuto- lo porse una carta magnetica -Qui ci sono 2.000.000 di gil- le disse guardandola dritto negli occhi -Usali per trovarti un posto e un'identità sicuri, un lavoro ben pagato e per tirare su la bambina i primi tempi-
-Chi sei tu? Perché fai questo?-
-Il mio nome è Vincent, e lo faccio per Lucrecia-
-Tu..! La conosci?- ma prima che potesse finire la frase lui era già scomparso.

Lei era ancora lì ad aspettarlo, e quando lo vide tornare gli corse incontro.
-Tutto a posto- le rispose lui -Sono al sicuro-
Lucrecia si mise a piangere: -Grazie- disse tra le lacrime -Grazie...-
Si abbandonò tra le sue braccia, piangendo lacrime di sollievo, e Vincent dovette suo malgrado abbracciarla, ma poi la strinse con ardore.
-Non piangere. Io non permetterò che la Shinra ti catturi...- le sollevo il mento bagnato di lacrime, e la baciò, prima con esitazione, poi con passione. Lei si abbandonava con la medesima passione, e il sangue di entrambi ribolliva loro nelle vene. Poi Vincent sentì i bordi della giacca strappata sotto le dita, e gliela tolse, mentre lei gli toglieva la giacca della divisa da turk e la cravatta, e gli sbottonava la camicia. Caddero sulla sabbia morbida, con i piedi bagnati dalla fresca acqua di mare, e si amarono fino a quando non giacquero esausti al tiepido torpore del sonno.

La mattina dopo Vincent fu il primo a svegliarsi, con la sgradevole sensazione di aver fatto un bel sogno, ma sotto effetto di stupefacenti. Ma no, lei era lì che gli si stringeva contro per trovare rifugio dal freddo che precede l'alba sul mare. A quel punto era di nuovo lucido, o almeno così credeva, e il torpore che lo aveva accompagnato per le ore precedenti si era diradato per buona parte. Cosa gli era saltato in mente? Salvarla? Aiutarla a nascondere la figlia? E poi... non completò nemmeno il pensiero, cercando di liquidare lo sconvolgimento di stomaco scuotendo la testa, ma la nausea permaneva, e la sensazione del corpo caldo di lei accanto sulla sabbia non gli giovava per nulla. Si rivesì rapidamente, e, dopo averla coperta con quel che rimaneva dei suoi indumenti, se ne andò, e, nonostante si sentisse un idiota e sapesse che avrebbe dovuto rispondere ad un mucchio di domande per tutte quelle ore di assenza, era ben determinato a non fare parola di Lucrecia.

Si svegliò infreddolita e dolorante per i lividi del giorno prima. Ma subito si accorse di essere sola. Lo chiamò, lo cercò in un breve raggio lì attorno per non rischiare di essere vista, ma nulla. Se n'era andato. Dopo che ebbe rattoppato i vestiti alla meglio e si fu risistemata, fece per andarsene, ma invece cadde in ginocchio sulla sabbia piangendo disperatamente.

-Vincent!- esclamò Mei appena lo vide arrivare -Ma dov'eri finito?-
-E cosa hai fatto ai capelli?- chiese Rojo con tono sornione
-Non capisco a cosa tu ti riferisca- rispose serissimo, e ignaro, Vincent
-Sembra che te li abbiamo mischiati con uno sbattitore elettrico- ridacchiò Yelena
-O piuttosto che si sia agitato nel letto- disse Rojo con fare eloquente, facendo l'occhiolino al resto del gruppo
Vincent era terribilmente in imbarazzo, e non trovò niente di meglio da fare che rimettersi a posto la cravatta con fare nervoso.
-Mhh- Michael cominciò a girargli intorno osservandolo con attenzione; Vincent s'immobilizzò
-Chi è la fortunata?- sbottò poi Michael
-Eh?-
-Daaai- disse Mei, che aveva un velo di tristezza sullo sguardo da prendingiro -Chi è la donna che non ti ha fatto dormire stanotte?-
-Ma vi pare- chiese Vincent, sprofondando in un baratro di vergogna pur non dandone segno -che uno come me abbia tempo per le donne?- di nuovo si strinse il nodo della cravatta
-No, tu sei misogino- disse Rojo con tono da esperto -Allora chi è il bel giovinetto?- sorrise beffardo
-Rojo!- sembrò che qualcuno avesse appena punto con un forcone tutto il gruppo, dall'espressione che si dipinse sui loro volti e il modo in cui si voltarono verso di lui
-Che ho detto?- disse con aria innocente
Vincent non sapeva nemmeno che fare. Normalmente lo avrebbe sospeso e segnalato per insubordinazione, ma non gli usciva la voce. E non era nemmeno arrabbiato. Solo triste; sentiva un forte senso di vuoto e nostalgia, e gli tornarono alla mente quei luminosi occhi verdi....
-Ehi, Vincent- esclamò Michael, riportandolo coi piedi per terra
-Sì?-
-Il cellulare- indicò lui scambiando uno sguardo sornione col resto del gruppo
Solo in quel momento Vincent si accorse che stava squillando. Rispose.
-Valentine-
-Signore?-
-Non l'avete presa-
-Mi rincresce signore. Non l'abbiamo trovata: quando siamo arrivati era già lontana-
-Mi hanno detto che hai preso in custodia una donna alla stazione, ma che alla base non è mai arrivata-
-Spiacente signore. Io l'ho consegnata alle guardie di pattuglia, non so niente dopo di allora-
-Capisco. Vincent?-
-Sissignore?-
-Una notte senza lavoro non si chiama vacanza-
-Ne terrò conto signore. Arrivederci-
-Che voleva Hojo stavolta?- chiese Mei
-Sapere perché non l'abbiamo presa-
-Vuoi dire perché non l'HAI presa. Come se noi contassimo qualcosa in questa squadra- disse acido Rojo
Yelena si volse verso di lui: -Rojo, ma cosa dici?!-
-Lo sappiamo tutti, questa squadra non è altro che il trampolino di lancio per le alte cariche di mister 'Sono-un-ghiacciolo-migliore-di-voi'- guardò Vincent con astio -Come se non ci calpestasse ogni volta che può. Così otterrai una bella promozione vero? Non aspetti altro-
Se ne andò adirato.
Vincent sentì frantumarsi la sua autostima come vetro soffiato sotto un mare di colpi di martello. Lo odiavano, tutti loro, perché era un 'ghiacciolo'. Lui pensava di fare il meglio per tutti non facendo favoritismi, e invece... Gli veniva da piangere. Piangere?! Lui?! Gli sembrava di essere diventato un'altra persona in quelle ultime ventiquattr'ore, non si riconosceva più. Però gli veniva da piangere. Si rese conto che la sua vita era un disastro, che non lo soddisfaceva per niente. Si sentì infelice. Ma poi il viso di Lucrecia affiorò in quel mare nero di disperazione. Lei lo amava, lo sentiva. Lei era l'unca cosa bella della sua vita. Le uniche cose che avessero un senso le aveva fatte con lei e per lei. Le uniche cose che lo avevano fatto sentire libero. Obbediva agli ordini di altre persone tutto il santo giorno, e anche di notte, spesso. Ma ora basta. Basta! Sarebbe tornato da lei per proteggerla e tenerla con sè. Per sempre...
-Signori, arrivederci- fece per andarsene
-Vicnent, no!- urlò Mei sull'orlo del pianto; lui sentì la sua voce tremare e si fermò -Io non ti odio...- le lacrime le correvano lungo il viso, e gli rammentarono Lucrecia. L'aveva lasciata sola... Non si accorgeva dell'amore che gli occhi della ragazza cercavano di comunicargli, lui pensava solo a Lucrecia.
-Vincent, non è vero!- si accalorò Yelena -Rojo dovrebbe parlare al singolare più spesso-
-Non avrebbe dovuto- disse Michael offeso -Noi non la pensiamo affatto così-
-Tu sei un nostro amico- disse Yelena con voce ferma
Gli dispiacque per loro, ma non avrebbe potuto restare comunque. Non dopo quello di cui si era reso conto.
-Beh, poco importa-
-Vincent, non andare- lo implorò Mei tra le lacrime -Io ti amo- sussurrò piano, così che solo Yelena, che le era vicina, la udì
'Temo che il suo cuore sia già impegnato, povera Mei' pensò Yelena, triste per l'amica 'I suoi occhi lo dicono chiaramente'
-Io mi prendo la mia vacanza- disse Vincent, con la voce indurita dall'autocommiserazione -E, quando torna, dite a Rojo che è licenziato con demerito e nota disciplinare sul curriculum. Al signor Hojo lo comunicherò io uscendo. A quando tornerò-
'Se tornerò' pensò poi cupamente, uscendo dal nero edificio dopo aver lasciato rabbiosamente la nota su Rojo al segretario di Hojo.
La luce del sole che splendeva nel cielo sereno lo abbagliò, come per sancire che la nebbia che avvolgeva e incatenava la sua sua anima si era diradata e celebrare la sua ritrovata libertà.

Continuava a camminare in solitudine. Si sentiva sporca e tradita. Cosa le era venuto in mente? Lasciarsi andare in quel modo! Ma poi il fruscio nell'erba, si volse e... lui era lì. Senza la divisa, senza la durezza nello sguardo. Lo voleva disperatamente, così come i suoi occhi le dicevano che lui la voleva. Gli corse incontro e si baciarono con passione, ma poi lui la trascinò via, lontano dal quella città grigia come i fumi della più nera industria del mondo.

Corse a casa, a togliersi quella dannata divisa di dosso: gli sembrava fosse fatta di sangue e pelle umana. Ma non poteva non portala con sé, perché finché non si fosse saputo che aveva tradito gli sarebbe servita come lasciapassare. Dopo che ebbe impacchettato le sue poche cose scese le scale a precipizio e a malapena mostrando alle guardie ai limiti della città la propria tessera si gettò nei prati al di fuori. Non poteva essere lontana. Lui si era svegliato prima dell'alba, adesso non erano neanche le nove, e in quelle condizioni non poteva certo essere andata lontano. Infatti trovo subito le sue tracce nell'erba, e le seguì con lo spasmodico desiderio di rivederla, di poterla stringere ancora. E poi la vide: si trascinava per il prato nello stesso modo in cui avrebbe fatto lui se non fosse stato tanto concentrato a cercarla: come una persona infelice e disperata. Lei si volse, e i suoi occhi si illuminarono. Le corse incontro, la baciò ardentemente.
-Amore mio- le disse; la portò via con sé prima che Hojo potesse venire a sapere o addirittura sospettare qualcosa, di corsa per i prati attorno a Midgar.
Si fermarono solo quando furono nell'area di Junon, oltre le miniere. Si accamparono in un fienile abbandonato in mezzo alla campagna.
-Vincent- gli disse Lucrecia sedendosi vicino a lui
Non ebbero bisogno di altre parole. Si spogliarono e fecero l'amore fino a quando non di addormentarono ancora stretti l'uno all'altra.

La mattina dopo Vincent si svegliò molto intontito, e si ritrovò Lucrecia rannicchiata contro, con suo sommo shock. La coprì con il mantello da viaggio rosso, e andò a prendere dell'acqua al ruscello che aveva visto lì vicino. Ma ad attenderlo non c'era solo l'acqua fresca, bensì anche un contingente di deepground accampati con jeep e radar. Senza emettere un suono si precipitò da Lucrecia, la svegliò e la trascinò tra le rocce e le colline ai piedi delle montagne, così che fossero meno visibili. Lei ancora non capiva, così ad un tratto si fermò.
-Cos'hai visto?- gli chiese ansiosa
-Ci stanno cercando, se non ci sbrighiamo ti troveranno, e, anche se combatterò come un leone, non credo che con una misera pistola potrà nulla contro fucili da cecchino e handgun a canna lunga-
Lei tacque sconvolta, portandosi una mano alla bocca.
-Amore mio, non posso permettere che tu muoia. Scappa e lasciami al mio destino-
-Come sei egoista-
-Cosa?-
-Pensi che io potrei mai permettere che tu muoia sola sapendomi vivo altrove? O ti salvo o morirò con te- la baciò -Ora andiamo o ci troveranno-
-Sì-
Scapparono tra le pietre, e poi tra gli alberi, sfruttando a volte i poteri di Lucrecia per farsi aiutare dal pianeta, e finalmente giunsero a Fort Condor, ma non vi entrarono, per non lasciare tracce del loro passaggio. Proseguirono quella corsa per la vita contro il tempo e lo spazio, che appariva senza speranza ma per loro era la cosa più reale e più bella, semplicemente perché erano insieme.

Un giorno Lucrecia, mentre camminavano, si accasciò ai bordi della strada. Vincent la soccorse.
-Che hai?-
Lei per tutta risposta non poté fare altro che rigettare ogni briciola di cibo che aveva in corpo.
-Tu non stai bene, dobbiamo fermarci-
-Non ti preoccupare- disse lei quando si fu un po' ripresa -Mi è già successo- sorrise senza che lui la vedesse, e lo convinse a continuare.

Continuarono a fuggire per settimane, che sembrarono secoli, e allo stesso tempo trascorsero come brevi minuti, perché erano felici. Se di giorno il pericolo incombeva, di notte l'amore li univa in un'estasi che avrebbe lasciato il suo segno nelle loro anime.
Ma un bel giorno la Shinra riuscì a tagliare loro la strada, poco prima di arrivare all'altipiano di Wutai, dove sarebbero stati in salvo, se in grado di pagare.
I soldati li fermarono ai piedi dell'altipiano, e Hojo era con loro.
-Bene, bene, chi abbiamo qui- disse guardando Vincent, che si ergeva in tutta la sua altezza nascondendo Lucrecia dietro di sé con fare protettivo -Signor Valentine, e io che credevo ti fossi preso una vacanza-
-Mi licenzio- sibilò lui di rimando, a denti stretti
-Farò finta di non aver sentito, e visto che sei un elemento promettente ti offrirò una promozione in cambio dei tuoi servigi-
-Scordatelo, cane assassino!- estrasse la pistola, e prima che chiunque potesse reagire aveva già fatto fuori 5 soldati con precisione perfetta. Ma non aveva speranze; dopo pochi minuti era già alle corde, nonostante avesse impedito a chiunque di avvicinarsi e Lucrecia, ma poi lei lo vide: il mirino puntato sulla sua fronte.
-NO!- urlò gettandosi tra Hojo e Vincent -Se volete ucciderlo dovrete passare sul mio corpo!-
Allora Hojo aggrottò la fronte come per riflettere, e lei fece l'errore di posare una mano protettiva sul ventre leggermente rigonfio.
-Dunque, Vincent, diventerai papà- ironizzò Hojo
Lei sguainò un coltello e se lo punto alla gola: -Il mio corpo alle vostre ricerche in cambio della sua vita-
-Lucrecia, no!-
Lei si voltò a guardarlo, il viso pietosamente rigato di lacrime.
-Perdonami, amore mio, ma non posso lasciarti morire-
-Lucrecia, mio...figlio...- svenne, e alle orecchie gli giunse un sussurro -Mi dispiace davvero...-

Si svegliò legato in uno dei laboratori di Hojo.
-Sai, Vincent, mi hai deluso-
-Mortificato- sibilò lui aggressivo
-Ora ti chiuderò in cella nei piani sotterranei, per le settimane che ci vorranno a mettere tutto a posto. Poi ti lascerò dare un ultimo saluto alla tua amata. A quel punto ti darò un'ultima possibilità di tornare nei Turks-
Vincent tacque, ma cercò di divincolarsi con tutta l'intenzione di saltargli al collo e ucciderlo a morsi.
-E' inutile. Lo sai, ringhi come un cane rabbioso. Spero di non doverti sedare-
-Provaci e giuro che ti sgozzo a morsi, sporco mostro assassino-
-Tra due settimane i bollenti spiriti ti saranno passati, vedrai-
-Non ci sperare-

Ci vollero all'incirca tre settimane prima che Vincent venisse portato fuori da quella cella umida, fredda e sporca. Era ridotto penosamente, ma invece di portarlo direttamente da Hojo, lo portarono ai bagni, e gli diedero di che rassettarsi; una volta che ebbe finito lo condussero al laboratorio. Si sentivano le grida di Lucrecia fin da oltre le porte blindate, ma lui cercò di rimanere calmo e aspettare il momento opportuno. Lo fecero entrare: Lucrecia era legata ad una sedia, all'interno di una cabina che serviva per convogliare l'energia Mako, appena scoperta e su cui si stava ancora sperimentando.
-Noooo!- urlava pietosamente la donna, cercando di divincolarsi -Non vi lascerò prendere il mio bambino!!! Non potete!-
La rabbia gli montava dentro, nel vedere la donna che amava soffire così, ma la represse per usarla poi contro i nemici.
-Benvenuto, mio caro Vincent-
-Cosa le stai facendo?- la sua voce tremava per la furia
-Daremo al bambino una scarica di energia Mako di durata infinitesimale, per rendere instabile il suo codice genetico, dopodiché la sederemo e inietteremo cellule di Jenova nel feto-
-Jenova?-
-Una forma di vita aliena, precipitata con la meteora che cadde anni fa, e attualmente in coma. Stiamo effettuando ricerche su di lei da anni, e pare sia l'unica creatura vivente su questo pianeta a sopportare le radiazioni di Mako; la rendono più forte-
-Mostro!- esplose suo malgrado -Cosa vuoi fare a mio figlio?- le guardie lo trattennero per i polsi ammanettati.
-Quello che voglio- ghignò Hojo trionfante -Hai perso, Vincent- lo guardò in faccia da molto vicino. Era il momento! Vincent gli tirò un rapido calcio negli stinchi, sfilò il polso sinistro dalle manette e rubò la poistola ad una delle guardie, la uccise, e subito tutte le altre la seguirono a terra, esanimi. Adesso erano soli. Gli sparò un colpo alla spalla, di striscio, poi uno alla gamba, entrambi molto dolorosi ma non mortali: voleva vederlo soffrire.
-E adesso a noi due, assassino-
-Temo che bisogni rimandare-
Una squadra di Turks irruppe dalla porta, ed ebbe paura, ma quando vide che non erano i suoi compagni la paura si dileguò. Sparò senza tregua, ma alla fine fu immobilizzato. Hojo si alzò.
-Caro eroe innamorato, stai dando un po' troppi fastidi perché ti si possa semplicemente ignorare come avevo intenzione di fare all'inizio. Vorrà dire che finalmente mi procurerò una cavia per quel progettino che mi hanno costretto a bloccare per mancanza di individui idonei. Tu mi sembri più che adatto. Portatelo nel laboratorio F e dite ai miei assistenti di prepararlo-
-Hojo- gridò Vincent furioso, divincolandosi davvero come un lupo preso in una tagliola -HOJO! Giuro sul sangue che mi scorre nelle vene che ti ucciderò, ti ucciderò come ti meriti, per Lucrecia, per mio figlio e per me! Altrimenti qualcuno lo farà al mio posto! Stanne certo!-
Le porte si chiusero nascondendo Hojo e Lucrecia alla sua vista, ma potè udire le sue urla per tutto il tragitto, e pianse, pianse in silenzio, per la prima volta in vita sua.

Il laboratorio F era a venti minuti di cammino, e quando vi arrivarono era ormai metà del tragitto che lui si lasciava trascinare inerte, precipitato in catalessi depressiva, ma non ancora per vinto. Lo consegnarono agli assistenti di Hojo, che gli tolsero i vestiti sostituendoli con una semplice striscia di tessuto legata a sostituire la biancheria, e lo legarono ad un tavolo di metallo, con le braccia perpendicolari al corpo, a formare una croce. Il tavolo venne posizionato da un macchinario al centro di una cabina per il Mako, e a quel punto lui, per la rabbia e la frustrazione, prese a divincolarsi in maniera tale che dovettero riportarlo all'esterno e sedarlo. Quando gli si chiusero gli occhi non vide nè sentì più nulla, eccezion fatta per un invitante tepore sulla pelle nuda, che lo accompagnò per tutto il sonno.
Quando si svegliò era su un tavolo operatorio, con una siringa infilata nel braccio. Cercò di scrollarsi di dosso i tubi e i fili ma non riuscì a muoversi; la voce di Hojo gli rispose:
-No, no, caro. Non potevo certo correre il rischio che facessi disastri nel laboratorio di ricombinazione genetica. Ti ho drogato così ti passeranno i bollori-
-Ri..-
-Sì, mio caro. Ricombinazione genetica. Vedrai, quando avrò finito non ti riconoscerai nemmeno- rise soddisfatto, malvagiamente -Sedatelo di nuovo- ordinò poi -Non è ancora il momento di lasciarlo assistere- sentì una siringa nel braccio e il mondo si spense.
Riprese conoscenza di nuovo nella cabina per il Mako.
-Santo cielo- si irritò Hojo da dietro il vetro -Ma sei un tossicodipendente o cosa? E' mai possibile che dobbiamo sedarti ogni due o tre ore? Poco male, tanto nemmeno tu puoi spezzare l'acciaio. Irradiate-
Delle piccole fessure si aprirono sulla lastra d'acciaio della cabina, e ne uscì una sorta di nebbia verde, che ben presto lo avvolse del tutto. Riconobbe il tepore della prima volta; il Mako dava così belle sensazioni? Riusciva a scaldare perfino l'acciaio che lo teneva imprigionato. Ma poi si preoccupò.
-Hojo, dì la verità, mi stai uccidendo-
-Oh, nient'affatto. Tutt'altro, in verità. Ti ho fatto iniettare un siero elaborato da Jenova. Ti rende immune ai danni del Mako per il tempo dell'esposizione-
-Non mi fido di te-
-E fai bene, ma quando si tratta di affari io sono intransigente. Non posso premettermi di perdere l'unica cavia per la ricombinazione genetica che mi capita da 3 anni a questa parte-
-Sei disumano-
-Grazie, lo prenderò come un complimento- non riusciva a vederlo; quanto avrebbe voluto sputargli in faccia! Ma prima che potesse formulare un solo altro pensiero si sentì come se gli stessero rimescolando le interiora. Gemette, cercando di contenersi, ma nonostante non provasse dolore non riusciva a reprimere le urla e i rantoli.
-Perfetto. Immagino desideri sapere cosa ti succede. Ebbene, te lo dirò. Il Mako sta rimescolando il tuo codice genetico con le cellule che ti ho iniettato, che, in effetti, sono appena una microscopica frazione di quelle che dovresti possedere a fine progetto. Come puoi arguire i risultati si vedranno appena a lungo, direi lunghissimo, termine-
-Ca...ro...gna...- detto ciò lanciò un urlò
-Sì, sì- disse Hojo con sufficienza; Vincent lo sentì allontanarsi, ma a quel punto perse ogni cognizione del mondo, perso nel malessere che sentiva penetrargli nella carne fino all'anima.

La storia si ripetè così per giorni e giorni, e lui sempre più spesso veniva sedato, ed era incosciente solitamente ventidue ore su ventiquattro. Dopo quelli che gli sembrarono mesi, ma avrebbero potuto benissimo essere pochi giorni, Hojo lasciò che si svegliasse. Si trovava in una cabina di vetro antisfondamento, chiusa con l'acciaio, e con prese d'aria invisibili.
-Ben svegliato-
-Hojo!- si scagliò contro il vetro, e si sentì uno scricchiolo
-Su, su, calma, mio piccolo animale in trappola. E' arrivato il momento di smettere di drogarti di sedativi fino allo stordimento e di aggiornarti. Da quando ti abbiamo sottoposto alle prime radiazioni sono passati esattamente sette mesi e dodici giorni-
D'improvviso rammentò: -Lucrecia! Che le hai fatto?-
-La tua amichetta partorirà a giorni il figlio della scienza, il guerriero perfetto-
-Come hai potuto fare questo ad un bambino! SEI UN ESSERE INDEGNO!-
-Non ho finito. Adesso che abbiamo finito di impiantarti il dna estraneo, ti lasceremo in questa cabina asettica per l'assestamento, che consiste semplicemente nell'adattamento del tuo corpo ai nuovi dati di base-
-MALEDETTO!-
-Ti terremo sotto stretta osservazione. Sarai felice di sapere che secondo i miei calcoli potrai assistere al parto della tua amichetta-
-Grr... La pagherai, te lo giuro!-
-Sei monotono, Valentine- gli volse le spalle e se ne andò, lasciandolo solo con la sua rabbia e la sua disperazione.
Dopo un po', comincio a sentirsi strano, così per cercare di non pensarci si mise a guardarsi intorno: avevano posto uno specchio a figura intera alle sue spalle, e quando ci si guardò non si riconobbe più. I capelli erano cresciuti in maniera disordinata fino alle spalle, il fisico si era irrobustito, e i muscoli guizzavano sotto la pelle pallida. Si sedette a terra e prese a studiare la sua immagine nello specchio, ma man mano che le ore passavano si accorgeva che qualcosa non andava: i suoi occhi cambiavano lentamente colore, la sua pelle si schiariva, i muscoli, prima appena visibili, si gonfiavano. Sentiva come una fredda calma scendergli nell'anima, molto più lenta del resto; si insunuava come un serpente ai margini della sua mente, nascondendosi e guizzando fuori dalla sua portata. Poi, dopo ben otto pasti, che gli venivano consegnati tramite un piccolissimo piano trasportatore nel soffitto, la parete di acciaio che vedeva dietro si aprì per la larghezza di qualche metro, per mostrargli, molto al di sotto di lui, la donna che amava lottare tra la vita e la morte collegata ad un elettrocardiogramma.
-Lucrecia!- gridò terrorizzato -Lucrecia!-; nessuna risposta.
Passò ore lì a guardarla, a guardare il neonato che, in un'incubatrice lì accanto, dormiva beato, mentre lei diventava sempre più pallida con il passare del tempo. Poi, all'improvviso, l'elettrocardiogramma divenne piatto.
-Lucrecia! LUCRECIA! NOOOOOO!- si mise a piangere disperato: aveva visto il suo unico amore morire davanti ai suoi occhi. Si volse da quella scena pietosa, imprimendo nella sua memoria il sorriso che le aveva inarcato leggermente le lebbra quando aveva urlato il suo nome, e che aveva reso felici i suoi ultimi istanti di vita, e per caso incrociò lo sguardo del suo riflesso: occhi rossi come il sangue illuminavano un volto dall'espressione oscura di una luce pericolosa, mentre muscoli sviluppati erano evidenti sotto la pelle e modellavano il suo corpo; un corpo imponente qunto mai era stato. L'ira lo infiammò come mai a quella vista.
-HOJOOOOOOO!- il suo urlo echeggiò per l'intera Shinra, fino alla presidenza, la sua voce ora innaturalmente profonda e possente che portava tutto il suo odio.
Di nuovò si gettò contro il vetro, e stavolta comparve una fitta rete di crepe: continuò a colpire, fino a che non vi si vide più nulla attraverso, e poi finalmente intaccò lo strato interno e riuscì a sfondarlo. Il suo pugno chiuso comparve all'esterno in un fragore di vetro rotto, e lui si gettò fuori, incurante delle sue condizioni nè di quella gelida calma che stava pian piano avvolgendo gran parte del suo cuore: contava solo la vendetta. Lucrecia. Suo figlio. Vendetta. Le guardie gli spararono, ma non sentiva dolore, e guariva a tempo di record. Così pian piano riuscì a risalire, fino a che, mentre stava lottando con due guardie, il calcio di un fucile non lo colpì alla nuca, atterrandolo.
-Non sei invincibile, caro il mio berserker- gli disse gelido Hojo -Ma alla fine mi hai costretto a trattarti come un animale- fece per reagire ma Hojo gli sparò una siringa sedante per animali nella spalla, e lui perse i sensi.

Si svegliò su un letto in una camera blindata, e vide appoggiati su una sedia i suoi vecchi vestiti, consumati, ma adattati da qualcuno alla sua taglia attuale. Tutta la rabbia, la sete di vendetta, il dolore, erano scomparsi. Rimaneva solo il ribrezzo per sé stesso, per ciò che era diventato. Si vestì, mise una fascia rossa negli arruffati capelli scuri e suonò la pulsantiera che c'era accanto al letto.
-Esci e segui il corridoio fino alla sezione di simulazione-
Obbedì, e lì incontrò Hojo che gli spiegò che cosa era diventato, e cosa avrebbero fatto d'ora in avanti: lo aveva trasformato in un vampiro, e lì si sarebbe allenato per imparare a conoscere tutti i suoi poteri.
-In cambio- gli disse Vincent -voglio che il corpo di Lucrecia riposi in pace eterna nel cristallo, in una grotta sotterranea, vicino ad un lago. Deciderò io dove-
-Sarà fatto- fu la compiaciuta replica

Ma dopo diversi mesi Hojo decise di trasferirsi alla Shinra Mansion di Nibelheim, e chiese a Vincent di seguirlo. Una volta arrivati Vincent gli chiese un colloquio.
-Tu non vuoi che nessuno venga a sapere dei tuoi esperimenti, Hojo, quindi li vuoi chiudere nel sotterraneo segreto-
-E' esatto-
-Allora chiudimi lì sotto con le mie disumane origini- disse gelido, privo di qualunque emozione
-Ma tu starai scherzando! Non posso certo...agh- Vincent gli si era avvicinato con una rapidità incredibile e lo aveva afferrato per il collo -Te lo chiedo per l'ultima volta- gli disse senza cambiare minimamente espressione
-Va...va bene- acconsentì lui

Qualche ora dopo, Hojo, dopo che i suoi laboratori erano stati chiusi e trasferiti altrove, chiuse tutti i suoi diari, i dati, le ricerche, le scoperte, gli strumenti e i progetti dei macchinari in quella stanza nei sotterranei della Shinra Mansion. Vincent lo assistette mentre seppelliva nell'oblio della roccia e del metallo le sofferenze di una razza insieme a quelle di tante altre persone. Poi, secondo quanto aveva richiesto, gli venne preparata una bara, in una stanza immediatamente avanti alla porta della precedente, che venne sigillata da un passaggio segreto in granito.
Vincent si distese in quello che aveva progettato sarebbe stato il suo ultimo letto, e, nel chiudere il coperchio, formulò i suoi pensieri di addio al mondo.
'Spero di non svegliarmi mai più. E, se mi sveglierò, Hojo, spero di svegliarmi in un mondo migliore, dove non esistete né tu né la Shinra'
Si addormentò pensando a Lucrecia che, congelata nel cristallo, riposava finalmente in pace in un luogo che solo lui conosceva, e in cuor suo sperò che, un giorno o l'altro, l'avrebbe finalmente raggiunta.




FINE


 


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